"Preghiera in gennaio" è uno dei capolavori di Fabrizio De André inciso nell'album "Volume 1" del 1967. Il testo è ispirato alla poesia "Prière pour aller au paradis avec le anes" (Preghiera per andare in paradiso con gli asini) composta nei primi del '900 dal poeta francese Francis Jammes. La musica è composta da Faber con la collaborazione di Giampiero Reverberi mentre il testo è dello stesso De André ed è legato ad una circostanza drammatica che legherà per sempre questa composizione al nome di Luigi Tenco, cantautore morto suicida proprio nel gennaio dei 1967 dopo l'eliminazione di un suo brano al 17° Festival di Sanremo. De André stimava molto Tenco dal punto di vista artistico essendo uno di quei cantautori che trattava, nei suoi testi, tematiche molto vicine al proprio stile oltre ad avere un'idea politica molto simile. Non molto tempo prima della scomparsa di Tenco, tra l'altro, i due avevano parlato di una possibile futura collaborazione artistica che immaginavano da diverso tempo. Quella partecipazione a Sanremo che Tenco, come De André, aveva sempre rifiutato divenne per l'artista una gabbia mortale e, subito dopo appresa la notizia dalla telefonata di un amico nella notte tra il 26 e 27 gennaio, De André si precipita a Sanremo con Puny, nomignolo dell'ex moglie Enrica Rignon, e con Anna Paoli ed osserva il corpo di Luigi nell'obitorio e venne colpito dal pallore della morte e dal colore scuro delle sue labbra carnose: immagine che a De André rimarrà impressa per diverso tempo. Sulla strada di ritorno per Genova, in attesa dei funerali che si sarebbero tenuti due giorni dopo, De André, ancora ebbe l'ispirazione da cui nacque questa composizione. De André compose questo brano come un omaggio discreto ad un amico, un modo per gratificarlo e per ricordarlo senza, però, voler strumentalizzare la cosa. Proprio per evitare ciò, infatti, De André rivelerà solo alcuni anni dopo di aver scritto questo brano in memoria di Tenco. Parlando del testo, De André, compone un vero capolavoro parlando del trattamento che andrebbe riservato nell'aldilà da un suicida che ha preferito la morte all'odio e all'ignoranza presente nella vita terrena. Si elogia, quindi, il coraggio di un uomo che ha scelto di non vivere in un mondo che non gli apparteneva. De Andrè, quindi, si auspica che il buon Dio possa accoglierlo tra le sue braccia rincuorandolo ed aiutandolo a soffocare il singhiozzo di quelle labbra smorte con il benestare dei benpensanti che lo vorrebbero tra le fiamme dell'inferno. L'inferno, per De André, dovrebbe esistere solo per chi crede in questa eventualità non avendo una coscenza pura e non mostrando, di conseguenza, il coraggio di credere in una misericordia divina. Il paradiso, invece, per Faber è destinato soprattutto a chi, nella vita, non ha sorriso pur mantenendo una coscenza immacolata. Inoltre, queste anime, possono essere utili, meglio di nessun'altro, al Signore per comprendere gli errori degli uomini e salvarli da un triste destino. Nell'ultimo verso, inoltre, Faber invita Dio ad ascoltare la voce di Luigi, che ormai canta nel vento, convinto che ne sarà contento. Un'appello finale, quindi, al Signore che possa, nella sua misericordia, prestare orecchio ad un'anima pura sicuro che apprezzerà sia il suo pensiero che, evidentemente, la sua valenza artistica. Un capolavoro assoluto, dunque, che ci ricorda la purezza di un animo candido stritolato dal cinismo di certi ambienti come Tenco e l'inarrivabile profondità del più grande cantautore italiano che è stato Fabrizio De André.