"Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" noto anche come "Carlo Martello" è un brano molto particolare ed è anche il primo che consente a Fabrizio De André di avere un poco di notorietà visto che siamo nel 1963 quando ancora Faber non aveva lanciato i suoi grandi successi. A comporre questo brano, inciso insieme a "Il fannullone", fu l'amico Paolo Villaggio, anch'esso sconosciuto all'epoca. I due, in un giorno di pioggia del novembre 1962, attendevano la nascita dei loro figli che videro poi la luce nello stesso giorno e per ingannare il tempo Fabrizio prese la chitarra e fece ascoltare a Paolo una musica solenne che aveva composto. Paolo, forte delle sue conoscenze storiche, propose di scrivere una canzone su Carlo Martello, Re dei Franchi che fermò l'avanzata dell'Islam nell'ottavo secolo d.C. nella famosa battaglia di Poitiers. Villaggio, però, decise di accostare la grandezza dell'uomo e la solennità di quella musica ad un testo ironico e sarcastico sul mondo della cavalleria e della aristocrazia del tempo. Villaggio, quindi, immaginò l'atteso ritorno dell'eroe dalla battaglia che, invece, di avere pensieri alti e di grande levatura morale bramava dal desiderio sessuale dopo una lunga e forzata astinenza dovuta alla guerra. Per sottolineare ancor di più il contrasto, i due autori, scrissero il testo alternando due diversi ed opposti registri linguistici e cioè prima un linguaggio forbito e raffinato, come era d'uso nella cavalleria, e poi uno più popolare ed, a tratti, volgare. La vicenda poi narra dell'incontro del Re con una giovane donzella popolana che cede alle richieste del Sovrano prima di rivelarsi una prostituta e di chiedere il conto, per giunta salato, al sorpreso Martello. Il Re, a quel punto, con fare da cialtrone risale a cavallo e si dilegua ricordando che prima della sua partenza le tariffe delle prostitute erano più basse. L'ironica presa in gira di quel mondo aristocratico non passò inosservato poichè oltre a beffeggiare un Re di tale importanza si era trattato un argomento tabù usando, tra l'altro, termini poco consoni all'Italia bigotta dell'epoca. La canzone subì anche una censura nel verso che dall'originale: "...frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da culo..." divenne: "...frustando il cavallo come un ciuco, tra glicine e il sambuco...". Nonostante ciò, a sollevare le polemiche fu un pretore di Catania soprattutto per il verso ritenuto immorale che recitava: "...E' mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane...". In questo modo, però, De André iniziò ad avere una certa visibilità e si può dire che quelle polemiche hanno, quindi, giovato alla storia culturale del nostro Paese che avrebbe potuto non accorgersi mai di un tale artista. L'apporto di Villaggio nella carriera di De André è stato , quindi, fondamentale anche se appare poco probabile che un genio di tale smisurata fattezza sarebbe potuto restare nell'ombra ancora per molto. La collaborazione artistica con Villaggio, però, si concluse con questi due brani presenti in questo 45 giri mentre la loro amicizia sarà forte e sincera fino alla scomparsa del cantautore.