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A cura di Marco Liberti

La musica che gira intorno...

A cura di Marco Liberti

Avvoltoi mediatici: Quando la morte rende mito l'artista dimenticato

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Come spesso accade per gli artisti non particolarmente inclini al ruolo mediatico e poco interessati alle logiche di mercato, la loro valorizzazione, avviene solo dopo la morte. Infatti, quando scompare qualche personaggio che ha lasciato, comunque, segni indelebili nel proprio settore artistico avviene uno strano processo di rivalutazione mediatica dello stesso e delle sue opere. Probabilmente la cosa deriva da una nuova ed inaspettata possibilità di lucro annusata da questi avvoltoi mediatici che fa leva sulla sensibilità del popolo rispetto al fresco defunto che, invece, quando era in vita non offriva margini commerciali di rilievo. Allora l'artista, fino al giorno prima dimenticato, abbandonato dai produttori, non promozionato, ostruito nella sua professione diventa, in un sol colpo, il mito da osannare, un patrimonio artistico a cui è impossibile rinunciare e, forse, patrimonio è proprio la parola giusta per decifrare questo strano comportamento dei media. E' successo nel cinema con Totò: tacciato per tutta la vita di fare film di terza categoria destinati solo ad un pubblico popolare, ad esempio, ed è successo tantissime volte anche nella musica italiana. Si possono citare i casi di Mia Martini: bollata iettatrice e costantemente ostacolata nel suo lavoro, Luigi Tenco: criticato fino al suicidio, Umberto Bindi: oscurato per la sua omosessualità e ridotto ad una morte in estrema povertà, Franco Califano: prima demonizzato tra storie di malavita e droga e poi sapientemente sfruttato e deriso come fenomeno televisivo tenendo sempre in secondo piano il suo talento, e tanti altri casi arrivando a quelli più recenti di Pino Mango: ormai da anni fuori da quasi tutti i circuiti radiofonici e televisivi nazionali e sempre in difficoltà, come la maggior parte dei suoi artisti coetanei, nel trovare produzioni per nuovi progetti e Pino Daniele: che, visto l'andazzo dell'industria discografica italiana si era ormai isolato tra sperimentazioni internazionali e riproposizoni di album storici figli di tempi in cui la qualità, nella musica italiana, contava ancora qualcosa. Ce ne sarebbero tanti altri di nomi come Pierangelo Bertoli, come Bruno Lauzi, e come Sergio Endrigo che anche la giustizia, un po' come i media, e per gentile concessione del rivale in tribunale, si è ricordato di lui solo quando non era più in vita ricoscendogli, dopo 18 anni di cause, la co-paterintà della colonna sonora del film "Il Postino" interpretato da Massimo Troisi e diretto da Michael Radford nel 1994. Quella sublime composizione che consentì a Luis Bacalov di vincere l'Oscar per la miglior colonna sonora, oltre al Nasto D'Argento, il David di Donatello ed il Premio Bafta per la medesima categoria, era del tutto simile alla musica di "Nelle mie notti", brano scritto da Endrigo per Riccardo Del Turco nel 1974. Dal 2013, quindi, la sentenza ha condiviso quel meritatissimo Oscar tra Bacalov, Del Turco, Paolo Margheri, paroliere del brano del '74, e, naturalmente, Sergio Endrigo. Bacalov, infatti, argentino ma cresciuto professionalmente in Italia aveva collaborato con tanti artisti italiani tra cui anche Endrigo per ben 11 anni. La causa, ebbe inizio nel 2001 e tra sentenze e ricorsi arrivò nel 2005 la morte di Endrigo e solo nel 2013, come detto, Bacalov, decise di concedere, anche se in evidente ritardo, ad Endrigo e company questo giusto riconoscimento. Un riconoscimento postumo, dunque, che arriva in ritardo ma che conferma, come le sue canzoni, la grandezza di un artista senza tempo.    

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Intelligenti considerazioni. Nulla toglie alla bravura degli artisti citati ma, effettivamente, molti di questi hanno visto consacrato il loro mito solo dopo la morte. Come accadeva poi a molti pittori del passato vissuti in povertà e poi rivalutati (con grande piacere dei parenti neoarricchiti)
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