"Anna e il freddo che ha" è una bellissima canzone di Enrico Ruggeri scritta con il fidato chitarrista Luigi Schiavone ed incisa per la prima volta da Gianni Morandi per l'album "Le italiane sono belle" del 1987. Solo nel 1999 Ruggeri, nell'album "L'isola dei tesori" composto prevalentemente da brani scritti dal cantautore milanese per altri artisti, incide il brano insieme alla sua compagna Andrea Mirò ponendo il suo inconfondibile marchio e consacrando il brano con il naturale supporto che quel brano, che rispecchia pienamente il suo stile, attendeva da quasi dieci anni. Per carità, Morandi, è un ottimo interprete ed prestato egregiamente il suo talento anche in questa occasione ma quando, un brano di tale impatto, lo si sente dalla voce e dalle viscere di chi l'ha composto è tutta un'altra storia. Un po' come "Il mare d'invero" e come altri successi, questo brano, assume tutto un altro carattere con lo stile del proprio autore. In più, questa nuova versione, è impreziosita dalla leggera quanto incisiva presenza di Andrea Mirò e della sua voce che ben si accosta al timbro ruggeriano. Il testo ci parla della monotonia di una vita priva di personalità e di un quotidiano, anche di coppia, che perde la sua anima, il suo respiro più intimo, nel frastuono della routine e dei comportamenti meccanici quanto spesso inevitabili che la vita ci porta a compiere in una omologazione in cui ogni mattina siamo di scena con le tante maschere che incosciamente si è costretti ad indossare. In questa apatia mentale e comportamentale si perde la propria anima e con essi quei guizzi spontanei che sanno di rivoluzione e di libero pensiero negli anni della gioventù in cui, un po' tutti, inneggiamo a quel senso di individualità che si placa nella rassegnazione di una vita regolare e politicamente corretta. "...Anna che vola non c'è più..." è proprio uno dei versi che rappresenta questo aspetto così poeticamente e profondamente espresso da Ruggeri in questo brano forse sottovalutato dalla massa e che, invece, non smette di affascinare i fedelissimi dell'artista milanese. Il freddo, quindi, di un'anima che ha perso il suo calore, che ha perso l'unicità di quei segni lasciati dal vento nella propria singola esperienza di vita, un po' come rughe personali appiattite da una società conformista rappresentata come un pesante e inanimato ferro da stiro che lascia, della propria identità, una banale forma liscia priva, all'apparenza, di quelle imperfezioni che ci rendono unici. Un capolavoro, quindi, che conferma, semmai ce ne fosse bisogno, la grandezza di uno delle penne più preziose della nostra storia musicale come Enrico Ruggeri.