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A cura di Marco Liberti

La musica che gira intorno...

A cura di Marco Liberti

Intervista con... Roberto Vecchioni

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Intervista con... Roberto Vecchioni

1.Roberto, lei è uno dei più grandi cantautori italiani. Ha scritto pagine storiche della nostra musica ma non ha mai abbandonato la cattedra di scuola. Come riesce a conciliare le due cose?Non pensa che i grandi cantautori andrebbero regolarmente inseriti nel programma didattico di tutte le scuole italiane?

Era molto difficile far conciliare l'insegnamento e la musica quando ero in cattedra al liceo, quindi l'impegno con gli alunni era quotidiano. Ora che insegno all'Università di Pavia è più semplice organizzare i corsi e gli esami nell'arco dell'anno accademico. Comunque, anche quando mi aspettavano in classe alle 8 del mattino, la passione per l'insegnamento è sempre stata superiore, e di molto, alla fatica di rientrare magari a tarda notte da un concerto. Come ripeto sempre, i tantissimi ragazzi che ho incontrato a scuola mi hanno dato molto più di quanto io non abbia dato loro. Proprio l'altro giorno ho incontrato un mio ex alunno che oggi insegna filosofia all'Istituto Gonzaga di Milano: ricordava ancora alcuni espedienti grazie ai quali io cercavo di far amare il greco e il latino... Per quanto riguarda la presenza dei grandi cantautori italiani nelle scuole, alcune antologie propongono dei testi, di Fabrizio De André come di altri e persino del sottoscritto, in particolare "Samarcanda".

2.Lei ha iniziato il suo percorso artistico come autore per diversi artisti prima di fare il suo debutto anche come interprete nel 1968. Quale collaborazione le ha dato maggiori soddisfazioni?Cosa l'ha portata a decidere di cantare i propri pezzi?

Per quanto riguarda la scrittura di brani per altri interpreti, bisogna riavvolgere la memoria e tornare a quegli anni, meravigliosi per la discografia italiana, durante ai quali i giovani avevano la possibilità di farsi notare proponendosi direttamente ai grandi maestri, che poi distribuivano agli interpreti le canzoni. Era tutto molto diverso da oggi e venivano prodotti un'infinita serie di artisti, anche minori, quindi il... lavoro non mancava mai. Confesso che i primi soldi sono arrivati dalle traduzioni, in italiano, di famosi brani inglesi, anche quella era una moda e offriva tante opportunità ai giovani che, come me, volevano entrare nel mondo della musica. Per quanto riguarda il passaggio da autore a cantautore, il merito è di Francesco Guccini. E' stato lui che, una sera, allora ci vedevamo spesso anche a Bologna, mi dice: "E' arrivato il momento che tu canti ciò che scrivi". Lo ringrazio ancora del consiglio.

3.Il suo capolavoro "Luci a San Siro" del 1971, si presta a diverse interpretazioni offrendo, quindi, vari spunti di pensiero e di riflessione che poi è una delle cose più importanti che può offrire una canzone. Come nasce quel testo?Qual è la sua, personale, interpretazione?

Anche in questo caso devo riprendere Guccini, perché lui mi ha sempre invidiato "Luci a San Siro". Ogni volta che c'incontriamo, oggi purtroppo assai meno, mi saluta dicendo: "avrei voluta scriverla io una canzone tanto bella". In realtà ne ha scritte tante anche migliori, ma lui è fatto così. Comunque, "Luci a San Siro" è nata a casa mia, una sera che ero solo, tutti erano usciti e io ero rientrato dal servizio militare che svolgevo a Linate in areonautica. Non saprei dire come è nata, certe canzoni nascono da sole, come dice Vasco Rossi, so che voleva essere il racconto di un addio, che mischiava il privato e il pubblico, il passaggio dall'adolescenza alla maturità. Sottofondo era Milano, la Milano di quei tempi, quando la montagnetta di San Siro era persino più bassa di oggi ed era l'alcova per l'amore di tanti giovani. L'abbinamento con lo stadio, e con l'Inter, è arrivato dopo e lo ha costruito la gente, unendo la mia fede nerazzurra all'atmosfera romantica di un calcio che non c'è più e che, allora, era avventura, piacere di stare insieme con gli amici.

4.Nel 1973 con la bellissima "L'uomo che si gioca il cielo a dadi" fa il suo esordio a Sanremo dove ritornerà con successo nel 2011 con "Chiamami ancora amore" risultando uno degli ultimi veri grandi artisti ad accettare la gara a differenza di chi usa quel palco solo da vetrina e riportando il cantautorato puro alla ribalta battendo con la poesia la "televotate" forza dei "figli dei talent". Cosa ricorda di quelle esperienze?Come ha deciso di tornarci?Cosa pensa dei grandi nomi che rifiutano di onorare quel palco per non prestarsi a quello che, in fin dei conti, è solo un gioco e non va ad intaccare una carriera già consolidata?

La prima esperienza a Sanremo fatico quasi a ricordarla, ero giovane, emozionato, una vera toccata e fuga, forse ho addirittura cantato per primo, al Casino, per altro, e non all'Ariston. Alla canzone ci tenevo molto, e ci tengo ancora, perché racconta del rapporto, straordinario e tormentato, con mio padre. La scelta del 2011 è decisamente più consapevole. Ho accettato l'invito dell'amico Gianni Morandi, dopo tante riflessioni, perché sentivo di avere una di quelle canzoni che uniscono, che sono popolari nel senso più bello e forte del termine. Canzoni che non puoi dedicare solo a una nicchia e, soprattutto in quel periodo storico, andava proposta a un grande pubblico. Non è il posto che fa l'artista, ma vicevera, soprattutto il posto non deve cambiare l'artista, e credo che questo sia successo nel mio caso. Sono andato al Festival perché sentivo che "Chiamami ancora amore" non era solo mia, sentivo che doveva essere di tutti, che avevamo bisogno di quella forza, di quella speranza, di quella fiducia. E sapevo che questo sentimento avrebbe portato alla vittoria, di tutti e non solo mia. Sembra passato un secolo, invece sono trascorsi solo tre anni, ma resto dell'idea che non dobbiamo rinchiuderci nei salotti, nelle torri di avorio, nelle sale di registrazione: bisogna avere il coraggio, che è un dovere, di uscire fuori e raccontare alla gente. Non bisogna diffidare di una realtà che è cambiata, altrimenti si corre il rischio di non vivere con i tempi giusti e, quindi, di non arrivare a regalare emozioni. Speravo, nel 2011, di aver aperto una strada, accettando di partecipare al Festival, rimettendomi in gioco attorno ai 70 anni, invece, nelle edizioni successive, ho visto che i grandi autori sono rimasti a casa. Peccato, mi auguro che in futuro ci ripensino. Io ho dato, e tanto ho ricevuto, e credo si debba fare. 

5.Nel 1977 la sua già citata e stupenda "Samarcanda" provoca polemiche nel suo pubblico che la ritenne, all'epoca, troppo commerciale. Come prese quella situazione?Cosa penserebbe quel pubblico, così ben abituato, di gran parte della musica di oggi? 

Erano davvero altri tempi, le tensioni sociali e politiche si riflettavano anche sui cantautori, stava svanendo l'effetto 1968 e, più o meno a tutti, capitava di essere contestati dalle frange estremiste. Ricordo il processo ideologico a De Gregori al Palalido di Milano che portò Francesco a interrompere il tour e a isolarsi per un lungo periodo, culminato con la scrittura e la pubblicazione di "Generale" e altri capolavori. Dell'episodio assurdo capitato a De Gregori ne parlo in "Vaudeville", che fa parte di "Samarcanda". Io venni contestato, durante un concerto, a Bologna nel 1977. A un primo ascolto "Samarcanda" poteva sembrare, soprattutto allora, una canzone scritta per scalare le classifiche, in realtà è una storia che nasce dalla letteratura, da "Appuntamento a Samarra" di O'Hara, che racconta l'eterna sfida dell'uomo tra la vita e la morte. Il ritornello tanto incriminato lo composi in autostrada, mentre guidavo da Milano e Bologna. Comunque, se le contestazioni portano brani a diventare storici, ben vengano, ma - ripeto - non si può neppure per sbaglio fare un confronto o un parallelo tra fine degli anni '70 e oggi. E' cambiato tutto, persino il partito di appartenenza di molti che allora si professavano puri e senza peccati...

6.In un recente sondaggio tra i lettori di questo blog, "Sogna ragazzo sogno" è risulatata la sua canzone più bella. Per lei qual è la sua più bella creatura?Quale, invece, quella che pensa andrebbe rivalutata?Quale quella, infine, di un suo collega che le sarebbe piaciuto scrivere?

Tutti i figli sono belli per la mamma... Ovviamente ad alcune canzoni ti legano rapporti particolari, perché sono nate in un certo momento, perché in quel momento hai vissuto un'emozione, positiva o negativa, tremenda. Io amo molto "I colori del buio", per esempio, un brano che in generale è passato un po' inosservato, e pensare che, fosse stato per Morandi, era quello il brano con il quale sarei dovuto tornare al Festival l'anno dopo la vittoria con "Chiamami ancora amore"... "Sogna ragazzo sogna" è il mio regalo per i tanti ragazzi incontrati durante gli anni di insegnamento al liceo, piace ai giovani perché è un simbolico passaggio di consegne ed è una canzone di grande speranza, forza, fiducia. Per quanto riguarda le canzoni altrui che avrei voluto scrivere io, beh, ho l'imbarazzo della scelta: tra i grandi classici della tradizione francesce a tutto De André e Guccini, però più che altro è una questione di gusti, in realtà sono molto soddisfatto di ciò che ho fatto e questo mi basta.

7.Come valuta la situazione attuale del nostro cantautorato?Cosa ascolta oggi?C'è qualche giovane in cui si rivede ed indicherebbe come suo erede?

Viene dipinta una situazione tragica perché non si riesce a capire che la musica deve battere insieme al suo tempo, quindi oggi dobbiamo dire che il rap, per esempio, svolge con i giovani il ruolo che avevamo noi cantautori negli anni '70. Per rap intendo quello intelligente, dei Caparezza, per intenderci. Tra i giovani, che poi così giovane non è più, mi piace molto Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, che considero tra i migliori autori in circolazione, al punto che gli ho chiesto di scrivere con me un brano a 4 mani che è contenuto in "Io non appartengo più" e s'intitola "Come fai".

8.Chi sono i suoi miti?

Tutti coloro che hanno scritto, per l'uomo, qualcosa di eterno.

9.Qual è il suo pensiero sui talent show?Farebbe da giudice?

Sono stato ad "Amici", come insegnante, spiegando il significato delle più importanti canzoni italiane, ed è stata una bella esperienza. Credo che i talent siano lo specchio del nostro tempo e, sotto questo punto di vista, non si può fare finta che non esistano. Non so dire se sarei pronto ad accettare o no una proposta come giudice perché non ci ho mai pensato, non me l'hanno mai chiesto.

10.Lei ha origini napoletane ed è tuttora sempre molto vicino alle problematiche di questa realtà. Che ci dice in merito?Cosa pensa della situazione attuale della musica napoletana?Chi ritiene ancora degno di questa storia tra gli artisti di oggi?Qual è il suo pensiero del fenomeno "neomelodico" che rischia di compromettere la storia della nostra cultura artistica e della nostra canzone?

Napoli è nel mio cuore, è la città dove vivono ancora tanti parenti e tanti amici, però non vivo la città, quindi non posso giudicare. Per quanto riguarda la tradizione musicale, Napoli è la culla di tanti generi, è sempre stato così, sa raccontarsi in più lingue, dall'opera, alla lirica, al folk, al blues, al rock, al rap, ai neomelodici, al pop raffinato. E' il dna globale di Napoli che si riflette nella musica. 

11.Dal concorso "Note d'oro 2013", lanciato su questo blog, "Io non appartengo più" è risultato l'album più bello del 2013 mentre "Ho conosciuto il dolore" la canzone migliore dello stesso anno. Come è nato questo magnifico disco?E qual è la genesi di questo capolavoro premiato dai nostri lettori?

Tanto per comiciare, grazie. Ho un legame molto forte, vissuto, direi esistenziale, con "Io non appartengo più", un disco che è arrivato dal profondo molto velocemente, poco più di un mese, alcuni brani, come "Esodo", sono stati concepiti al volo, un'idea nata un giorno e trasformata già il giorno dopo in canzone grazie all'arte di Lucio Fabbri e Massimo Germini. E' stato l'album più... veloce della mia carriera e, al tempo stesso, il più profondo, sentito, provato. Mi fa piacere che la gente stia condividendo con me "Ho conosciuto il dolore": volevo, raccontandomi, raccontare tutti, perché il dolore passa dentro ogni essere umano e lascia il segno, ma bisogna affrontarlo, sfidarlo oserei dire, per dimostrare, a noi stessi prima ancora che a lui, che è battibile.

12.A cosa sta lavorando ora?Ha già brani pronti nel cassetto?Quali saranno i prossimi progetti che la vedranno protagonista? 

Sto lavorando al prossimo romanzo e alla preparazione della seconda parte del tour, quella primaverile-estiva. Ho ripreso anche le lezioni all'Università di Pavia: quest'anno studieremo la figura femminile nelle canzoni, partendo dalle origini, sin dai canti greci, per arrivare ai giorni nostri.

13.Maestro, la ringrazio inifinitamente per la dispnobilità e augurandole sempre buona musica le chiedo, in coclusione un saluto per tutti i lettori di "La musica che gira intorno...". Grazie

Un abbraccio grande a tutti gli amici de "La musica che gira intorno...".

Roberto Vecchioni

 

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