Era il 1989 e dopo diversi anni di silenzio dovuto alle calunnie legate alla sfortuna e alla conseguente depressione Domenica Bertè, in arte Mia Martini, convinta da Lucio Salvini e Giovanni Sanjust, due discografici che l'avevano seguita nei primi anni di carriera, decise di partecipare alle selezioni del Festival di Sanremo, al quale era stata più volte scartata partecipandovi una sola volta fino ad allora nel 1982 con "E non finisce mica il cielo", scritta da Ivano Fossati suo compagno dell'epoca, ottenendo il premio della critica ed il sesto posto in classifica. Nel 1989 il direttore artistico era Adriano Aragozzini il quale avrebbe avuto, quindi, diritto all'ultima parola sull'ammissione alla gara dell'artista calabrese. Le cattiverie e le dicerie sul conto di Mimì, però, nonostante fossero passati tanti anni in cui la Martini aveva sofferto in silenzio le più meschine perfidie da parte dell'ambiente discografico non si erano placate e, anche in quell'occasione pare ci siano state accese pressioni da parte dei discografici verso Aragozzini al fine di non prendere nemmeno in considerazione la candidatura di Mimì arrivando addirittura a minacciare il ritiro dei propri artisti. Questi personaggi, in preda alla più sconvolgente ignoranza, temevano che la presenza di Mia Martini potesse provocare l'insuccesso della manifestazione tutta, influenzare negativamente l'interpretazione degli altri artisti per i quali temevano anche della loro incolumità fisica. Si arrivò, perfino, alla conclusione che con la partecipazione di Mimì potesse crollare il teatro. Aragozzini, a quanto pare , si sarebbe limitato a minimizzare spiegando ai discografici che lui avrebbe valutato soltanto le canzoni e che se quella presentata della Martini meritava di salire sul palco dell'Ariston, l'artista, sarebbe stata ammessa senza problemi. La canzone in questione era "Almeno tu nell'universo", un autentico capolavoro scritto da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio nel 1972 e tenuto nel cassetto per diciassette anni perchè il contenuto fu ritenuto troppo avanti per quel determinato periodo storico e anche perchè per diversi anni nessun autore, prima dell'arrivo di Lauzi, era riuscito a scrivere un testo adatto a quello stupenda melodia. Il brano tratta l'incoerenza e l'ipocrisia della società contemporanea con una rassegnazione amara verso lo smarrimento dei valori della vita e di un'identità individuale che rende l'uomo falso e poco credibile. Il testo lancia, comunque, un appello alla riscoperta della verità e della dignità umana confidando nella non omologazione alla massa di quell'anonimo destinatario a cui è diretto questo intenso messaggio d'amore. Tornado al 1989 Aragozzini, dinnanzi ad una canzone di cotanto splendore, non poteva non ammettere Mimì al Festival eppure si mostrava, incomprensibilmente, combattuto nell'esprimere il verdetto finale. Ci volle, quindi, l'interessamento dell'amico Renato Zero, all'anagrafe Fiacchini, che - secondo le sue dichiarazioni rilasciate allo speciale di "Doreciakgulp" curato da Vincenzo Mollica "Mia Martini, dieci anni senza te" andato in onda su Rai Uno - fece da garante e gli fu chiesto di firmare un documento in cui lo stesso Zero si assumeva ogni responsabilità su tutto ciò di spiacevole che sarebbe potuto accadere durante l'esibizione di Mimì sul palco dell'Ariston. Una sorta di contratto della vergogna che Aragozzini ha poi smentito definendo il re dei sorcini un uomo molto fantasioso e negando di aver ottenuto alcuna firma nero su bianco in riguardo alla partecipazione della Martini. Aragozzini aggiunse, poi, che nonostante la cantante subiva ancora delle maldicenze, in quella occasione, nessun esponente del mondo musicale gli chiese di escluderla dal Festival e che la cantante superò regolarmente la selezione effettuata tra 35 canzoni dalla commissione artistica da lui formata. Malgrado le smentite, la storia raccontata da Zero, appare molto verosimile vista l'infinita cattiveria usata in quegli anni verso Mimì e, da amico fraterno, non risulta chiaro il motivo per il quale Zero avrebbe dovuto inventare un episodio così increscioso e vergognoso che difficilmente può essere immaginato come un totale frutto della fantasia dell'artista romano. In ogni caso, Mimì, partecipò alla competizione canora ottenendo un grandissimo successo soprattutto nel pubblico e consacrando il suo grande ritorno con il Premio della Critica che, successivamente, sarà intitolato proprio a lei e che in quell'occasione venne assegnato quasi come un gesto di scuse o per coprire l'assoluta ostilità verso la sua partecipazione che si tramutò in un ridicolo nono posto in classifica dietro perfino al comico, cantante per l'occasione, Francesco Salvi. La manifestazione fu vinta dalla coppia Leali-Oxa con "Ti lascerò" ma, "Almeno tu nell'universo", da quel momento, divenne una vera e propria pagina di storia della musica italiana. Un pezzo che ha avuto negli anni un enorme riscontro di vendite e apprezzamenti. Il brano, che inizialmente fu proposto a Mietta che lo rifiutò, è stato successivamente inciso come omaggio a Mimì, da tantissimi artisti come Mina, Massimo Ranieri, Elisa, Fiordaliso, Fausto Leali e, tra gli altri, da Thelma Houston nella versione inglese "Flame". Divenuto il cavallo di battaglia di Mimì, la canzone, accompagnò gli ultimi anni di vita dell'artista fatti di attestati di stima da parte della gente comune e di scuse poco convincenti degli addetti ai lavori. Ci furono, inoltre, altre edizioni del Festival arrivando a conquistare il secondo posto con un altro grandissimo successo, "Gli uomini non cambiano", scritto da Giancarlo Bigazzi, Marco Falangiani e Giuseppe Dati nel 1992 oltre ad un ulteriore Premio della Critica ricevuto nel 1990 con "La nevicata del '56" scritta da Franco Califano e classificatasi al quarto posto. Si presentò anche nel 1993 in coppia con la sorella Loredana Bertè in "Stiamo come stiamo" ottenendo un quattordicesimo posto. In questi anni, Mimì, aveva ritrovato un rapporto con il padre Giuseppe che già da molti anni aveva abbandonato la famiglia e, sembrava, aver superato quel lungo periodo buio della sua vita ma il 14 maggio 1995, nella sua casa di Cardano al Campo in provicia di Varese, fu ritrovato il suo corpo senza vita che giaceva con ancora addosso un paio di cuffie. In quei giorni, infatti, la Martini stava preparando un brano per il Festival di Napoli. La morte della cantante, avvenuta in circostanza poco chiare, provoca anche in questo triste epilogo illazioni e cattiverie su un possibile suicidio. Il medico legale attesterà, in seguito all'autopsia, che l'artista era deceduta per arresto cardiaco causato da overdose di stupefacenti e a tre giorni dalla morte il corpo fu cremato e l'inchiesta archiviata. Anche in questo caso, Renato Zero, interverrà dichiarando che Mimì aveva un fibroma all'utero ed assumeva farmaci anticoagulanti e cortisone per rimandare un intervento che temeva avrebbe potuto compromettere le sue qualità canore ipotizzando come causa possibile del decesso un ictus ischemico e rinnegando categoricamente l'eventualità del suicidio. "Doveva debuttare il giorno dopo ed era contenta. Il padre ha avuto troppa fretta di far cremare il suo corpo. Poteva chiedere - conclude Zero - una perizia di parte, invece di lasciare le conclusioni ad un medico legale in cerca di notorietà.". Come sia andata davvero nessuno lo può sapere, ma presupposto che, tutto il dolore ingiustamente subito in tutta la sua esistenza hanno influito pesantemente sulla sua salute fisica e mentale, ora è giusto che illazioni e dicerie lascino per sempre il nome di Mimì che deve essere ricordata solo per la sua grandezza artistica e morale e, la sua vita travagliata, deve servire da monito a tutti quelli che con troppa superficialità affibiano etichette infamanti che poi è difficile cancellare per l'intera esistenza e possono portare a tragici epiloghi.