"Vico Strafuttenza" è l'ultimo singolo lanciato da Federico Salvatore per il bellissimo album "Pulcin'Hell". In questo testo, come in tutto il disco, Federico torna a parlare di Napoli, delle sue bellezze e, soprattutto, delle sue problematiche facendolo, però, sempre con l'occhio di chi, da partenopeo, non intende addossare le colpe, a priori ad altri lavandosene le mani, bensì, facendo prima di tutto autocritica immedesimandosi, come un onesto e leale Pulcinella, nell'intero popolo napoletano e facendo trapelare, senza maschere, il suo pensiero. In "Vico Strafuttenza", Federico, ci parla con il solito sarcasmo di un'altra faccia della Napoli di oggi e di sempre e cioè chi vive, senza eccessivo stress, la propria vita prendendo il tutto come un fato irreversibile, nel bene come nel male, e non provando a far nulla contro le miserie e le difficoltà sociali e quotidiane della nosta città. L'unico pensiero di questa, purtroppo nutrita, sezione del popolo napoletano e non, è quello di arrivare indenni al domani, senza pensare se ciò che si fa per arrivarci sia giusto o sbagliato, etico o vergognoso. Spesso, come ci dice l'autore, chi vive la propria vita nella totale indifferenza verso le problematiche della collettività vive molto meglio poiché non sentono alcun peso e nessuna responsabilità in prima persona sull'evoulzione di una vita sociale che tende al degrado ed alla decadenza culturale. Si vive, ad esempio, con rassegnazione e senza alcuna preoccupazione l'abbandono agli studi di un figlio perché, in certi contesti il "foglio di carta", non serve per sopravvivere e, l'aspetto culturale, poi, appare insignificante. Queste persone si affidano a Dio, ma non per un eccesso di fede cristiana, ma per avere una entità in cui credere di cambiare il proprio destino senza alcun impegno personale, come una cosa dovuta, un miracolo che, prima o poi, arriverà. Ma Federico, pone anche alcune riflessioni che, in parte, rendono comprensibile questo comportamento, ovvero che per chi vive in queste realtà, "il foglio di carta" davvero non basta per andare avanti: è la strada a dettare leggi e lo Stato, qui, è più assente che in ogni altro luogo. Anche la fortuna spesso volta le spalle a questa gente senza voce e per cui, spesso, vivere la vita così come viene e con una rassegnazione che prende la forma di un falso ottimismo diventa quasi necessario per pensare al domani e, quindi, è per certi versi, concesso umanamente che si pensi in primis al proprio futuro e che valga il compromesso "...magn' tu cà magn' pur' io...", ovvero, letteralmente, "mangi tu che mangio anch'io" e, cioè vivi e lascia vivere, anche attraverso sotterfugi ed espedienti che permettono, in ogni modo, di andare avanti. Ovviamente, però, Federico regala questa fotografia di una determinata fascia collettiva di Napoli con l'intento e la speranza che qualcosa cambi: che lo Stato intervenghi ed anche, da primo critico di certe realtà, che lo stesso popolo napoletano faccia l'impossibile affinché questà città possa risollevarsi e possa debellare questo tipo di scuola di pensiero che, talvolta, è intrinseco in chi nasce e vive in certe realtà. Cambiare è possibile ma i primi a farlo dobbiamo essere noi napoletani perché se si continua a dire "...che teng' a vedè...", ovvero, "...cosa ho da spartire..." e si continua far finta di niente è inevitabile che, chi non vive questa realtà, si comporti allo stesso modo come succede, ormai, da sempre.