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A cura di Marco Liberti

La musica che gira intorno...

A cura di Marco Liberti

"Amore che vieni, amore che vai": Faber canta la precarietà dell'amore

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"Amore che vieni, amore che vai" è una delle tante poesie in musica regalate da Fabrizio De André nella sua ricca storia musicale. Incisa prima nel decimo 45 giri di De André insieme a "Geordie" nel 1966 e poi nell'album "Volume III" nel 1968, la canzone, è centrata sull'incertezza dell'amore e, quindi, sulla precarietà che può avere un rapporto sentimentale. Faber mostra con la sua poesia la facilità con la quale si può passare da un rapporto affettivo in cui è possibile perdersi nell'incessante richiesta di gesti e comportamenti di complicità alla differente prospettiva capace di farti apparire in modo completamente diverso, "...con gli occhi di un altro colore...", quella stessa persona che ti rivolge le medesime parole d'amore. L'amore cambia e non si parla solo dell'amore verso il partner ma, in qualche modo, di amor proprio. Il proprio sentimento che muta, indifferentemente talvolta dal proprio volere, e ci fa osservare e recepire la realtà in modo completamente diverso anche in brevi lassi di tempo. Col passare del tempo, quelle parole, quei gesti, quei comportamenti che in quel momento significavano la totale appartenenza affettiva verso quell'altra persona saranno, in qualche modo, dimenticati, volati nel vento, ricordi di un tempo passato che, però, potrebbero tornare senza alcun preavviso. La conclusione reale, quindi, di ogni storia d'amore, anche parlando soltanto dell'amore verso la propria persona, è proprio questo continuo mutamento della percezione dell'amore e delle relative conseguenze che ciò comporta. Non c'è, quindi, in amore verità più profonda di: "Io t'ho amato sempre, non t'ho amata mai...amore che vieni, amore che vai...". Negli anni, poi, il brano è stato riproposto anche da altri grandi artisti italiani come Franco Battiato e Claudio Baglioni. L'ennesima dimostrazione, quindi, di un cantuatore unico che ci ha lasciato un patrimonio culturale di inestimabile valore e che andrebbe sempre ricordato e riproposto alle nuove generazioni affinché tutto ciò non finisca nel dimenticatoio e possa servire da esempio alle nuove leve della musica italiana che intraprendono una strada cantautorale ma soprattutto ad una industria discografica italiana che punta sempre più poco sulla canzone d'autore puntando su prodotti commerciali che lasciano il tempo che trovano e che sono utili solo ad impoverire il livello culturale dell'utenza musicale di massa. Certo trovare un altro De André è impresa ardua ma è il sistema musicale italiano che toglie ogni possibilità di emergere ad un ipotetico nuovo cantautore di tale caratura. Un genio del genere, probabilmente, non troverebbe spazio in un talent show attuale poiché si premia la forma, l'aspetto, la voce e non il contenuto. Di belle voci ce ne sono tante e ce ne saranno sempre a differenze delle belle ed acute penne che sono un bene sempre più raro nella nostra musica. Gli autori stanno alla base della musica: solo un pensiero, una riflessione, una poesia può durare nel tempo e non perdere mai la sua forza ed è questa la linea che dovrebbe seguire l'industria discografica per avere dei risultati veri e duraturi con la possibilità di avere, tra vent'anni iniziando oggi, un nuovo De André. La qualità è l'unica arma che favorisce la cultura e lo sviluppo, la qualità non scade nel tempo e non stanca mai e questo brano, come tanti altri di Fabrizio De André o di altri grandi cantautori, ne è un chiaro e limpidissimo esempio. Facciamo tesoro di questi insegnamenti e non offendiamo la memoria di questi artisti cancellando la storia e la grande tradizione cantautorale italiana: è uno dei pochi patrimoni che il mondo ci ividia e non possiamo dimenticarlo o svilirlo con l'attuale musica usa e getta.     

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